19 settembre 2008

E ADESSO TOCCA ME' VASCO ROSSI

In ESCLUSIVA per tutti gli amici di Blogspot..............da OREA MALIA'


1 commento:

Anonimo ha detto...

È arrivato l'autunno, cadono le foglie, ma per strada è tutto un fiorire di pettinature nuove. Da intere generazioni, ma forse da sempre, le donne sono ossessionate dai loro poli: la testa ed i piedi. Trascurando la mania per le scarpe che richiederebbe trattazioni enciclopediche e schiere di psicologi che spieghino a noi maschietti il perché, mi ha sempre incuriosito il modo in cui le donne “usano” i loro capelli. Alcuni giorni fa, una mia amica, si presenta a lavoro con una cotonata anni 80 che avrebbe fatto invidia a Joan Collins ai tempi di Dallas. Quando l'ho guardata con l'espressione delle mucche che guardano i treni passare, mi ha detto che stava attraversando un periodo difficile e aveva bisogno di cambiare. Volevo consigliarle di cambiare innanzitutto parrucchiere, ma non ho voluto infierire... con quella cofana in testa sarebbe stato come sparare sulla croce rossa. Ma mentre continuavo a fissare quella pettinatura, ipnotizzato come quando si guarda un incidente in autostrada, riflettevo sul modo in cui una pettinatura può aiutare un cambiamento psicologico.
Mi hanno sempre detto che i grandi scultori hanno fatto uscire le opere seguendo quello che la materia suggeriva loro attraverso le linee del marmo, le curve del legno, i punti di forza o di debolezza delle rocce. Con i capelli come si fa? Si seguono le linee del cranio, leggendole come una sfera di cristallo? Oppure si analizza la direzione delle doppie punte, utilizzandole come bussole per orientarsi nel taglio da effettuare? Ma soprattutto perché quando si desidera un cambiamento si parte dai capelli? I nostri peli superiori sono la proiezione di quello che vorremmo il mondo vedesse in noi, una sorta di profilo in codice della nostra personalità? Mentre mi chiedo questo ascolto le donne raccontare del barbaglio luciferino che si accende negli occhi dei parrucchieri quando vedono una lunga chioma, cominciano a fremere e vorrebbero essere come “Edward Mani di Forbici” per potersi inebriare appieno mentre accorciano orgasticamente quei capelli che arrendendosi alla gravità ne hanno seguito le linee. E spesso i loro racconti sono pervasi da quel senso di impotenza e di pentimento per aver deciso di dare “solo una spuntatina”. Ecco un esempio di incomunicabilità umana, nel vocabolario dei parrucchieri non c'è la parola “spuntatina” (che poi assomiglia cacofonicamente a quel “minutino” che odio visceralmente), ma c'è solo la parola tagliare!
C'era una volta una mia amica, che tanti anni fa cominciò una crociata contro la sua capigliatura e nella ricerca di alleati con cui intraprendere questa battaglia trovò sulla sua strada il Principe di Bologna, un regno dove i capelli non potevano spostarsi di un millimetro senza che il Gran Capo Acconciatore esprimesse il suo assenso. Quando i due si incontrarono il Principe capì subito il bisogno della mia povera amica che vagava per il mondo sperando di trovare qualcuno che indirizzasse il suo polo nord anarchico. E così, come solo i grandi artisti sanno fare, lesse le linee del cranio o la direzione delle doppie punte della mia amica e tirò fuori un'opera d'arte. Da allora il Principe coniuga quei capelli in modo che non siano mai più lunghi di una falange (anche se a volte la mia amica sembra appena uscita dalla caserma di Full Metal Jacket), ma è l'unico modo possibile di esistere per quel pelo ribelle.
Questa moderna favola metropolitana mi ha fatto pensare a come ci si ostina a portare i capelli in un determinato modo, mentre i nostri parrucchieri ci vorrebbero diversi. Siamo solo pezzi di marmo in mano agli scultori?
Rocco da Potenza